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31 ottobre 2019
31 Ott 2019

OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA E RINUNCIA AL DIRITTO DI PROPRIETA’

Può il proprietario che abbia subito una occupazione illegittima chiamare in giudizio la pubblica amministrazione e chiedere, anziché la restituzione del bene con rimissione in pristino dello stato dei luoghi, il risarcimento del danno per sottrazione di terreno e per l’avvenuta occupazione illegittima?

Ed in sostanza, può il proprietario in caso di occupazione illegittima ad opera della pubblica amministrazione, rinunciare alla proprietà del bene?

Premessa indispensabile è osservare come il nostro sistema legislativo non preveda una generale possibilità di rinuncia alla proprietà in favore dello stato o di altri soggetti privati. Tra i modi di acquisizione della proprietà, infatti, disciplinati dall’art. 922 c.c., non si riscontra l’acquisto della proprietà a mezzo di altrui rinuncia. Unica eccezione appare quella di cui all’art. 1104 c.c che prevede la possibilità del comproprietario di rinunciare alla sua quota di comproprietà in favore degli altri comproprietari.

Parte della dottrina tuttaiva ritiene configurabile un diritto generale alla rinuncia alla proprietà immobiliare sulla scorta di alcuni riferimenti normativi: l’art. 827 c.c. che sancisce che i beni immobili che non siano di proprietà di alcuno spettino allo stato; l’art. 1350 n. 5 c.c. che parrebbe estendere la rinuncia anche alla proprietà dei beni immobili prevedendone l’obbligo di forma scritta, nonché l’art. 2643 n. 5 che prevede l’obbligo di trascrizione dell’atto di rinuncia.

L’istituto della rinuncia alla proprietà dei beni immobili, tuttavia, in via generale non pare unanimamente accolto né in dottrina né in giurisprudenza.

 

Occorre quindi chiedersi se l’istituto della rinuncia alla proprietà del bene immobile, possa trovare applicazione nell’ambito delle occupazioni illegittime.

In senso favorevole parrebbe esprimersi il Tribunale di Brindisi nella sentenza 1230 del 29/08/2019 il quale afferma: “Nel caso di occupazione usurpativa, in considerazione dell’attività del tutto illegale posta in essere dalla P.A. non si produce alcun effetto traslativo del bene occupato, e pertanto il proprietario può optare per i normali rimedi petitori e possessori a difesa della proprietà oppure chiedere il risarcimento. Tale ultimo istituto implica tuttavia la rinuncia al diritto di proprietà.”

Il giudice Brindisino, quindi, non solo ammette la possibilità della rinuncia alla proprietà del bene illegittimamente occupato, ma addirittura ritiene che tale rinuncia possa derivarsi implicitamente nella proposizione, da parte del proprietario occupato, di una azione meramente risarcitoria e che non preveda la restituzione del bene.

Recisamente contrario alla possibilità di una rinuncia abdicativa alla proprietà del bene occupato, pare invece il Tar di Napoli che nella sentenza 1176 del 4 marzo 2019 afferma: “La rinuncia abdicativa alla proprietà privata non può trovare ingresso nel nostro ordinamento. Infatti, anche a seguito dell’entrata in vigore del T.U. degli Espropri, in assenza della conclusione « fisiologica » del procedimento espropriativo con l’adozione del decreto di esproprio oppure con un accordo di cessione tra l’autorità espropriante e il proprietario del bene, il proprietario di un suolo illegittimamente occupato può trasferire il predetto bene all’Amministrazione con una manifestazione di volontà resa nei modi di legge nell’ambito di un accordo transattivo in cui le parti concordino anche il valore del trasferimento a prescindere dalla quantificazione dell’indennità, secondo i relativi principi contenuti nel T.U. degli espropri. Pertanto, qualora ci sia stata una deviazione patologica dello schema legale, ove sul bene del privato sia stata realizzata un’opera pubblica e le parti non abbiano concluso un accordo traslativo, l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto può essere disposta solo con l’esercizio del potere previsto dall’art. 42 bis, d.P.R. n. 327 del 2001 e, dunque, mediante l’adozione di un provvedimento — non avente efficacia retroattiva — di acquisizione al patrimonio indisponibile del bene privato utilizzato per la realizzazione dell’opera pubblica. In assenza dell’esercizio del potere previsto dall’art. 42 bis, l’illegittima occupazione di un bene privato, sia pure preordinata alla realizzazione di un’opera pubblica, determina l’obbligo di restituzione nei confronti del proprietario.”

Il collegio afferma chiaramente come, a suo avviso, l’istituto della rinuncia abdicativa non possa entrare a far parte dell’ordinamento giuridico italiano, in quanto evidentemente non normativamente previsto e come, pertanto, davanti ad una occupazione illegittima, in mancanza di un provvedimento di acquisizione sanante, il proprietario occupato possa agire solo per la restituzione del bene con rimissione in pristino dello stato dei luoghi e per il risarcimento del danno patito per l’avvenuta occupazione.

Tuttavia appena due mesi prima, il 18 gennaio 2019 con sentenza n. 460, su tema aveva avuto modo di esprimersi anche il Consiglio di Stato, il quale a differenza dalla corte amministrativa territoriale, aveva ben riconosciuto la possibilità di una rinuncia alla proprietà del bene occupato: “La condotta illecita tenuta dall’Amministrazione pubblica con l’occupazione abusiva di terreno altrui, quale che sia stata la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), non può comportare l’acquisizione del bene medesimo giacché essa configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c.; d’altro canto la cessazione dell’illecito da essa commesso si verifica soltanto nelle ipotesi di: a) restituzione del fondo; b) accordo transattivo; c) rinunzia abdicativa da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo; d) compiuta usucapione, nei ristretti limiti individuati dal Consiglio di Stato; e) provvedimento emanato ex art. 42 bis, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.”

Pur dovendosi riconosce l’orientamento dominante quindi, in quello espresso dal Consiglio di Stato, tuttavia non paiono censurabili i dubbi espressi da taluna giurisprudenza di merito che si esprime in senso più tradizionale in ragione della mancanza di una figura generale di rinuncia al diritto di proprietà.

L’introduzione della possibilità di rinunciare al bene occupato, infatti, seppure ha sicuramente dei meriti nello sciogliere alcune complesse situazioni in favore del proprietario, tuttavia non può che suscitare alcuni dubbi.

Il merito principale è quello, in fondo, di assicurare uno strumento in più in favore del proprietario. Il proprietario nel silenzio della pubblica amministrazione che ometta di disporre una acquisizione sanante ex art. 42 bis dpr 327/2001, infatti, anziché iniziare un giudizio per la demolizione delle opere e la restituzione dei beni, potrà rinunciare al proprio diritto alla restituzione e chiedere direttamente il risarcimento del danno.

Ciò si risolverebbe, il più delle volte, in un importante risparmio di tempo ed energie. Un giudizio per la riduzione in pristino dello stato dei beni, infatti, assai spesso conduce all’emissione precoce o spesso solo all’esito del giudizio, di un provvedimento di acquisizione sanante da parte della pubblica amministrazione. Provvedimento che il proprietario si trova frequentemente a dover nuovamente impugnare in Corte di Appello onde richiedere la rideterminazione dell’indennità (o meglio del risarcimento) determinato in via unilaterale dalla stessa pubblica amministrazione occupante. Ecco quindi la necessità di affrontare due giudizi consecutivi, spesso lunghi e complessi.

A fronte di tale situazione il proprietario potrebbe quindi adire il tribunale onde rinunciare direttamente al suo diritto restitutorio, al fine di chiedere quindi il risarcimento del danno patito. Un unico giudizio.

Tale possibilità ora aperta al proprietario dalla giurisprudenza, tuttavia, sollecita interrogativi ancora non risolti.

In primo luogo occorre definire la modalità dell’acquisizione della proprietà in favore della pubblica amministrazione. L’atto di rinuncia, espresso all’interno dell’atto processuale introduttivo del giudizio, sicuramente non sarebbe titolo idoneo a garantire alla pubblica amministrazione la possibilità di effettuare la trascrizione della proprietà in proprio favore.

Unico mezzo a ciò utile sarebbe quindi l’emissione ad opera del giudice di una sentenza accertativa/costitutiva del diritto in favore della pubblica amministrazione. Ove però le parti non ne abbiano fatto direttamente richiesta nelle proprie conclusioni, stante il principio della domanda che permea il rito processuale, sarebbe legittimato il giudice all’emissione di una tale pronuncia? Probabilmente no. E pertanto l’effetto rinunciativo sarebbe completo e realizzabile solo ove le parti, attore e convenuto, si ricordassero in atti di avanzare specificamente la domanda di accertamento e costituzione del diritto di proprietà in favore della Pubblica Amministrazione.

Ma in fondo il problema non è tutto qui. Se infatti il giudizio viene introdotto davanti alla giurisdizione amministrativa, come risulta obbligatorio tutte le volte in cui l’illegittima occupazione sia derivata dall’espressione di un potere amministrativo che abbia dato origine ad una valida dichiarazione di pubblica utilità, come potrà il giudice amministrativo, preso atto della rinuncia del proprietario, accertare e costituire il diritto di proprietà in favore della pubblica amministrazione?

Va infatti ricordato come il Tribunale Amministrativo non abbia il potere di accertare, dichiarare e costituire il diritto di proprietà, essendo connotato da una giurisdizione prevalentemente demolitoria nei confronti degli atti amministrativi assuntamente ritenuti illegittimi. Orbene, il riconoscimento della facoltà della rinuncia al diritto di proprietà, potrà conferire alla giurisdizione amministrativa il potere di accertare l’avvenuta traslazione del diritto? E il Conservatore dei registri immobiliari potrà sulla scorta di una tale sentenza, effettuare la trascrizione?

Il problema non pare ancora risolto, ma tuttavia ove si ammetta l’esistenza di tale istituto, si dovrebbe in tale campo necessariamente estendere il potere giudicante del tribunale amministrativo anche all’accertamento e costituzione del diritto. L’alternativa infatti, del tutto implausibile, sarebbe quella di costringere la pubblica amministrazione ad intentare successivamente alla pronuncia amministrativa, un giudizio ordinario di accertamento della proprietà.

Ulteriore elemento che pare interessante affrontare è quello relativo al momento traslativo del diritto di proprietà, ciò in quanto direttamente connesso al momento in cui effettuare la valutazione del danno patito dal proprietario occupato.

Ben evidentemente non può ritenersi che la traslazione della proprietà sia occorsa al momento dell’illegittima occupazione, in quanto altrimenti verrebbe meno la natura di permanenza dell’illecito.

Le alternative allora sono quelle di considerare la traslazione del diritto o al momento dell’atto di rinuncia o al momento dell’emissione della sentenza che tale rinuncia accerti.

Nel primo caso la rinuncia sarebbe in fondo da configurare come mera rinuncia al diritto di richiedere la restituzione del bene e pertanto sarebbe la sentenza ad avere effetto costitutivo del diritto, nel secondo caso, invece, l’atto di rinuncia avrebbe esso stesso l’effetto di effettuare la traslazione del diritto e la sentenza si limiterebbe ad accertare l’evento.

Non paiono esserci ragioni sistematiche per preferire l’una o l’altra ipotesi. E allora pare preferibile fermarsi al tenore letterale della pronuncia già richiamata del Consiglio di Stato n 460/2019 in cui esplicitamente si parla di possibilità del proprietario di effettuare una rinuncia abdicativa al diritto. Sarà pertanto la rinuncia ad effettuare la traslazione del diritto di proprietà che quindi avrà effetto dal momento del deposito dell’atto introduttivo del giudizio che tale rinuncia contempli anche implicitamente.

Da ciò può quindi derivarsi che la stima del danno per privazione del bene dovrà effettuarsi a tale data, ovverosia alla data della rinuncia alla proprietà e quindi a tale data andrà valutato il valore del bene illegittimamente occupato e ora rinunciato. È infatti solo in questo momento che si concretizza il danno dell’espoliazione del bene, analogamente a quanto visto in tema di acquisizione sanante ex art. 42 bis dpr 327/2001, ove il momento della stima del danno è da effettuarsi alla data di emissione del provvedimento.

Conseguentemente andrà poi riconosciuto al proprietario il diritto al risarcimento del danno per illegittima occupazione del bene da calcolarsi dalla data di occupazione alla data di effettuazione della rinuncia.

Anche in tal caso pare richiamabile la giurisprudenza che riconosce la natura in re ipsa del danno da occupazione (Cons. di Stato, 17/05/2019 n. 3428): il proprietario sarà pertanto esentato dalla necessità di provare l’avverarsi di un danno. Il proprietario dovrà viceversa provare il quantum del danno subito. Appare però richiamabile anche in tale caso quella giurisprudenza (Tar Napoli 12/02/2019 n. 774) che ammette una valutazione equitativa del danno, applicando in via analogica il criterio previsto dall’art. 42 bis dpr 327/2001 e quindi quantificando il danno da occupazione nel valore dl 5% annuo, salvo la prova del maggior danno subito.

Nessun problema pare configurabile in tema di prescrizione del diritto: la natura permanente dell’illegittima occupazione viene infatti meno solo con la dichiarazione di rinuncia al bene e quindi solo da tale momento partirebbe il termine prescrizionale quinquennale stante la natura di illecito permanente dell’occupazione. Tuttavia, come visto, siamo già in giudizio e quindi non vi è ragione perché tale termine prescrizionale inizi a decorrere.

Non potrà invece trovare applicazione analogica quanto sancito dell’art. 42 bis in tema di danno extrapatrimoniale: pur essendo infatti sicuramente configurabile la possibilità di dimostrare in giudizio l’esistenza di un danno extrapatrimoniale derivante dall’illegittima occupazione, pur tuttavia non pare possibile in tale ambito una valutazione equitativa e quindi l’applicazione in via analogica delle percentuali del 10% o del 20% previste in tema di acquisizione sanante.

Il danno extrapatrimoniale non pare infatti una conseguenza necessaria dell’intervenuta illegittima occupazione e pertanto non pare possibile considerare il danno come sussistente in re ipsa: spetterà quindi al proprietario che lo richieda dimostrare sia l’esistenza effettiva di un danno extrapatrimoniale, sia di fornire le prove volte a quantificare detto danno.

 

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30 ottobre 2019
30 Ott 2019

COMUNE IN STATO DI DISSESTO E ACQUISIZIONE SANANTE EX ART. 42 BIS DPR 327/2001

Importante pronuncia sul tema del dissesto della Pubblica amministrazione e dei rapporti con tale stato e le occupazioni illegittime, è quella recentemente pubblicata a seguito di una pronuncia del Tar di Reggio Calabria (sentenza 264 del 19 aprile 2019).

La corte si trovava ad esaminare un’ipotesi di emissione di provvedimento di acquisizione sanante emesso dal commissario ad acta dopo la già avvenuta dichiarazione di dissesto dell’ente comunale.

Il procedimento era stato incardinato in ordine alla qualificazione del credito da attribuire al proprietario del terreno, a seguito appunto dell’emanazione del decreto di acquisizione: si discuteva se tale somma dovesse essere iscritta al bilancio ordinario, ovvero alla massa passiva del dissesto.

La Corte ha optato per la prima soluzione, evidenziando come l’emissione del provvedimento ex art. 42 bis dpr 327/2001 non costituisca un atto di gestione, ma un provvedimento posto in essere per ovviare ad una situazione di illecito permanente commesso dalla Pubblica Amministrazione.

La fonte dell’obbligazione di pagamento, pertanto, si concretizza nel provvedimento di acquisizione sanante stesso e pertanto il credito viene in essere successivamente alla dichiarazione di dissesto e, conseguentemente, deve essere iscritto alla gestione ordinaria.

“Ove la fonte dell’obbligazione dell’ente dissestato sia identificabile non in un atto o un fatto di gestione, bensì in un fatto illecito, fonte di obbligo risarcitorio dell’ente, esso, poichè riconosciuto e liquidato dopo la dichiarazione di dissesto, non può essere contabilmente inserito nella massa passiva e va liquidato a valere sulle ordinarie risorse di bilancio dell’ente. Tale conclusione è perfettamente in linea con la natura del provvedimento di acquisizione sanante di cui all’art. 42 bis d.P.R. 327/2001. Il debito indennitario de quo non può considerarsi preesistente alla data della dichiarazione di dissesto, bensì rappresenta un credito in corso di formazione, esito della scelta, funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico dell’ente, operata nella specie dal commissario ad acta a causa della colpevole inerzia del comune, di adottare il provvedimento ex art. 42 bis TU Espropri, le cui conseguenze, in termini di ristoro patrimoniale dovuto, non possono che essere affrontate con le risorse ordinarie dell’ente. In altri termini, l’attuale necessità di operare una scelta discrezionale circa il miglior modo di perseguire l’interesse pubblico dell’ente (restituendo il bene o acquisendolo) colloca la vicenda al di fuori del contesto della gestione dissestata dell’ente, determinando comunque la necessità di affrontarne le conseguenze con le risorse di bilancio ordinarie.”

Interessante è fermare un attimo l’attenzione, alla luce di tale pronuncia, alle differenti situazioni che possano emergere in tema di occupazione illegittima, al fine di comprendere se i diritti risarcitori anche in quei casi possano ascriversi alla gestione ordinaria.

Sicuramente alla gestione ordinaria dovrà ascriversi l’indennità eventualmente liquidata dalla Corte di Appello a seguito di opposizione alla stima effettuata dalla Pubblica Amministrazione ex art. 42 bis dpr 327/2001: il principio risulta infatti del tutto omogeneo con la motivazione espressa in sentenza, non trattandosi di altro che di vicenda giudiziaria scaturente appunto dal provvedimento di cui all’art. 42 bis dpr 327/2001.

Occorre poi esaminare il caso in cui il proprietario adisca il tribunale al fine di richiedere la rimissione in pristino dello stato dei luoghi con pagamento del danno patito per l’illegittima occupazione, ove la pubblica amministrazione (caso raro in verità) non reagisca con l’emissione di un provvedimento di acquisizione sanante. In questo caso la fonte del risarcimento del danno per illegittima occupazione va ravvisata nell’atto illecito permanente della pubblica amministrazione. Si potrebbe pertanto sostenere che per il periodo antecedente al dissesto, il credito debba essere ascritto alla massa passiva, in quanto il momento costitutivo del risarcimento del danno per occupazione si viene via via a realizzare con lo stesso scorrere del tempo.

Ulteriore ipotesi è infine quella in cui il proprietario adisca la giurisdizione ordinaria o amministrativa al fine di far constatare l’avvenuta occupazione illegittima, dichiarando tuttavia di rinunciare alla proprietà del bene a seguito dell’irrevocabile trasformazione dello stato dei luoghi e richiedendo quindi il risarcimento del danno patito per l’occupazione illegittima e la sottrazione definitiva del bene.

Il momento traslativo del diritto di proprietà, in questo caso, non potrebbe che identificarsi con l’emissione della sentenza costitutiva del diritto in favore della pubblica amministrazione. Il credito del proprietario al risarcimento per perdita del bene, pertanto, non potrebbe che considerarsi sorto che a seguito della sentenza costitutiva stessa. Ove pertanto, l’emissione della sentenza sia successiva alla dichiarazione di dissesto, il credito dovrà essere ascritto alla gestione ordinaria. Più incerta appare invece la sorte del credito per l’avvenuta occupazione illegittima, anche in questo caso, infatti, potrebbe sostenersi la formazione progressiva e successiva nel tempo del credito e pertanto la ricaduta nella massa fallita del periodo ante dissesto.

 

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30 ottobre 2019
30 Ott 2019

L’IPOTESI DELLO SCONFINAMENTO NELLA REALIZZAZIONE DELLE OPERE PUBBLICHE

Molto interesse ha suscitato sul tema la recente pronuncia n. 18272/2019 della Corte di Cassazione, con la quale la Corte ha regolato il profilo della competenza in ordine alle ipotesi di sconfinamento dell’opera pubblica.

Il caso è quello della realizzazione di un’opera pubblica mediante procedimento espropriativo regolarmente concluso e che dia luogo tuttavia, nell’esecuzione dei lavori, ad uno sconfinamento dell’opera rispetto alla fascia di terreno prevista nel piano particellare di esproprio.

Il caso attiene sicuramente ad una ipotesi di occupazione illegittima da parte della pubblica amministrazione, in quanto i terreni occupati a seguito dello sconfinamento non era stati fatti oggetto di procedura espropriativa. L’occupazione, quindi, configura un caso di illecito permanente, con diritto del proprietario di richiedere la demolizione dell’opera e la rimissione in pristino dello stato dei luoghi, oltre al pagamento del risarcimento per l’illegittima occupazione effettuata.

Altrettanto sicuramente la pubblica amministrazione potrebbe procedere all’emissione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis dpr 327/2001.

Il punto in dubbio riguardava invece la giurisdizione a giudicare della fattispecie, ovvero se la materia rientrasse nella giurisdizione del giudice amministrativo o ordinario. A favore della prima ipotesi si poteva ascrivere il fatto che l’occupazione derivava comunque da un procedimento amministrativo regolarmente compiuto e quindi avesse comunque la sua fonte nell’esercizio di potere amministrativo, il cui giudizio, appunto, è soggetto alla giurisdizione amministrativa.

La Corte di Cassazione ha tuttavia indicato la giurisdizione ordinaria, evidenziando come in relazione allo sconfinamento, la fascia di terreno illegittimamente occupata, risulta priva di qualunque elemento di esercizio di pubblico potere, non essendo infatti prevista né nel piano particellare di esproprio né nella dichiarazione di pubblica utilità: l’occupazione si tradurrebbe in una mera occupazione di fatto (occupazione usurpativa) e pertanto la giurisdizione sarebbe a parere della Corte in capo al giudice ordinario.

“In tema di conflitto di giurisdizione avente ad oggetto una controversia relativa ad un’ipotesi di cd. sconfinamento, ossia del caso in cui la realizzazione dell’opera pubblica abbia interessato un terreno diverso o più esteso rispetto a quello considerato dai provvedimenti amministrativi di occupazione e di espropriazione, oltre che dalla dichiarazione di pubblica utilità, l’occupazione e la trasformazione del terreno da parte della P.A. costituisce un comportamento di mero fatto, perpetrato in carenza assoluta di potere, che integra un illecito a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo (cd. occupazione usurpativa), onde l’azione di risarcimento del danno che ne è conseguito rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.”

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29 ottobre 2019
29 Ott 2019

IL CONSIGLIO DI STATO CONFERMA: LA COMMISSIONE TECNICA ARBITRALE E’ ATTIVABILE ANCHE PRIMA DELL’EMISSIONE DEL DECRETO DI ESPROPRIO

Con la sentenza n 5909/2019 del 27/08/2019 il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del Tar di Ancona, annullando i provvedimenti con cui Autostrade per l’Italia spa aveva rigettato la richiesta di alcuni proprietari di valersi dell’istituto della rideterminazione dell’indennità di esproprio a mezzo di commissione tecnico arbitrale di cui all’art. 21 dpr 327/2001.

Sosteneva infatti l’ente espropriante che la richiesta di rideterminazione non si sarebbe potuto fare prima dell’emissione del decreto di esproprio, neppure nel caso di avvenuta occupazione di urgenza dei beni effettuata ai sensi dell’art. 22 bis dpr 327/2001.

I provvedimenti di diniego venivano quindi impugnati dall’Associazione Unione Nazionale Tutela Espropriati per tramite dell’avv. Corrado Brancati di Pesaro davanti al Tar delle Marche, il quale accoglieva il ricorso annullando i provvedimenti impugnati.

L’ente espropriante ricorreva quindi al massimo organi giudicante ribadendo le proprie argomentazioni. Il Supremo collegio amministrativo rigettava tuttavia l’impugnazione, confermando l’annullamento dei provvedimenti. Afferma infatti il supremo collegio, accogliendo le argomentazioni dell’avv. Brancati in favore dei proprietari espropriati: “Dalla lettura testuale delle disposizioni emerge un sistema di norme che, sebbene non individui un termine certo per l’attivazione e la conclusione del subprocedimento della nomina del collegio tecnico:

  1. a) prevede in capo all’autorità espropriante un vero e proprio obbligo di rispondere all’istanza di nomina della commissione;

a.1) del resto, in tal senso, sebbene il caso in esame non riguardi una ipotesi di inerzia dell’autorità espropriante a fronte dell’istanza di nomina del collegio tecnico, rilevano i principi generali sulla sussistenza dell’obbligo di provvedere sulla richiesta di parte e, di conseguenza, sull’illegittimità del silenzio rifiuto eventualmente opposto; invero, dal combinato disposto dell’articolo 2 della l. n. 241 del 1990 e dell’articolo 21 del d.P.R. n. 327 del 2001, deriva l’obbligo per l’autorità espropriante di concludere il procedimento di determinazione definitiva dell’indennità con un provvedimento espresso e motivato, atteso che la fase di stima peritale dell’indennità di esproprio, in caso di mancata accettazione di quella provvisoria, si configura per l’autorità espropriante come una fase necessaria e non facoltativa;

  1. b) impone all’autorità espropriante di provvedere alla nomina dei tecnici entro un termine congruo, in quanto:
  2. i) depone in tal senso il tenore della normativa, caratterizzata da una dettagliata descrizione delle singole fasi del procedimento di determinazione dell’indennità di esproprio e, in particolare, dalla individuazione di termini stringenti per tutte le parti coinvolte, da cui emerge l’intento generale di accelerarne lo svolgimento e la conclusione (trenta giorni per comunicare la condivisione dell’indennità provvisoria; venti giorni per comunicare l’intenzione di avvalersi del procedimento per la determinazione definitiva dell’indennità di espropriazione mediante tecnici; termine non superiore ai novanta giorni per il deposito della relazione di stima del bene, prorogabile solo in casi del tutto eccezionali);
  3. ii) per converso, sarebbe contraddittorio rimettere alla piena discrezionalità dell’autorità espropriante la scelta del momento in cui attivare il procedimento di determinazione in via definitiva dell’indennità di espropriazione, arrivando a consentire alla stessa di attendere per tale adempimento il momento di adozione del decreto d’esproprio, che può avvenire anche dopo un lungo periodo, per la nomina dei tecnici ai fini della definitiva individuazione del collegio;
  4. c) viene esplicitamente ammessa la determinazione dell’indennità di espropriazione in un momento anteriore all’adozione del decreto di esproprio da parte dei tecnici (cfr. art. 23, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 327/2001).

6.6. Si deve pertanto concludere che, qualora sia il privato non accettante l’indennità a sollecitare l’amministrazione espropriante a designare i propri tecnici e procedere a norma dell’art. 21 del d.P.R. n. 327/01, quest’ultima non ha una possibilità di scelta, bensì l’obbligo di procedere in tal senso entro un congruo lasso temporale, designando i propri periti ai fini della nomina del collegio.”

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29 ottobre 2019
29 Ott 2019

L’occupazione illegittima della Pubblica Amministrazione – Pesaro 25 ottobre

Grande interesse ha suscitato l’incontro di venerdì 25 ottobre a Pesaro organizzato dall’Unione Nazionale Tutela Espropriati (www.tutelaespropri.it) in collaborazione con e-valuations, cui hanno partecipato circa 40 tecnici provenienti da varie regioni di Italia.

Le occupazioni illegittime della pubblica amministrazione e quindi le procedure espropriative illegittime, il tema, affrontato sia sotto i suoi aspetti giuridici che sotto quelli più strettamente tecnici e valutativi.

Particolare attenzione è stata dedicata alle problematiche connesse alla stima del perito nell’ambito delle differenti ipotesi di occupazione illegittima e in relazione agli eventuali sviluppi giudiziari: procedure per la restituzione del bene, procedure di acquisizione sanante ex art. 42 bis dpr 327/2001 e procedure di rinuncia alla proprietà con richiesta di risarcimento del danno.

Infine il relatore, avv. Corrado Brancati Presidente dell’Associazione a tutela degli espropriati, ha evidenziato le opportunità lavorative che si possono aprire in questo settore ai tecnici estimatori, proponendo percorsi collaborativi attivi tra i tecnici e l’Associazione. In questa prospettiva è stata rilanciata la notizia della costituzione di una rete di periti valutatori presenti sul territorio nazionale da parte dell’Unione Nazionale Tutela Espropriati, mediante la creazione di un registro di referenti territoriali.

Il Registro, di prossima pubblicazione, sarà riservato agli associati e-valuations e l’iscrizione sarà completamente gratuita.

Incontri analoghi a quello tenutosi nel territorio pesarese, sono in fase di organizzazione a Genova e a Verona nei mesi di dicembre e gennaio. A breve verranno aperte le iscrizioni on line

 

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Notizie

  • Occupazione illegittima della Pubblica Amministrazione e prescrizione dei diritti4 dicembre 2019 - 19:50

    Si è già visto come la Pubblica Amministrazione non possa acquisire il bene per usucapione, in quanto ciò reintrodurrebbe in forma larvata una ipotesi di espropriazione indiretta vietata dall’art. 1 del Protocollo Aggiuntivo Cedu. Se quindi la Pubblica Amministrazione voglia acquisire il bene, potrà unicamente valersi del provvedimento di acquisizione sanante di cui all’art. 42 […]

  • Occupazione illegittima ed acquisto per usucapione ad opera della pubblica amministrazione4 dicembre 2019 - 19:36

    L’interrogativo è: l’illegittima occupazione dà titolo all’usucapione in favore dell’amministrazione occupante. La domanda ovviamente trova una loro importanza in caso di mancata emanazione ad opera della pubblica amministrazione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis dpr 327/2001. In caso infatti di adozione del provvedimento i diritti economici spettanti al proprietario trovano il […]

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